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La strage di giovani persone LGBT avvenuta venerdì scorso in un club di Orlando ha lasciato noi di Grandaqueer ammutoliti per lo sgomento e la pena. Il peggior massacro da armi da fuoco della storia degli Stati Uniti si è abbattuto su membri inermi della comunità gay, in un luogo – il Pulse – dove giovani uomini e donne si sentivano al sicuro, liberi di divertirsi e di vivere la vita che spetta a persone la cui età andava dai 21 ai 45 anni: nostri coetanei, uomini e donne uguali a noi.
La carneficina è stata portata avanti da un solo uomo, la cui follia ha trovato mezzo di espressione in un’omofobia coltivata per anni, e infine condensata in un atto inumano. Si è parlato di una matrice islamica, dell’iniziativa di un cane sciolto, di mera instabilità mentale; tuttavia le motivazioni svaniscono di fronte ad un cosi enorme atto d’odio, le cui conseguenze, purtroppo, segneranno una comunità intera. Odio che riverbera nelle tante dichiarazioni che difendono il carnefice, sminuiscono tante giovani vite, o anche cercano giustificazioni per l’eccidio in un unico gesto di cui l’assassino era stato testimone mesi prima: un bacio fra due ragazzi a Miami. Più di una voce importante ha affermato che quanti fra di noi vivono la propria vita pubblicamente, attirano su di sé reazioni scomposte che per alcuni diventano, se non giustificabili, almeno comprensibili. Sono i gay a provocare: cinquanta morti per colpa di un solo bacio.
L’odio e la paura hanno la capacità di rovesciare i valori e le convenzioni sociali che proprio i promulgatori dell’odio omofobico dicono di difendere a spada tratta: ministri della fede che si augurano la morte di intere categorie di persone e gioiscono per le stragi, personalità politiche che incitano a imbracciare fucili, ma peggio, padri che progettano atti di indiscriminata bestialità massacrando a bastonate persone, colpevoli di frequentare il loro figlio, come è successo a Benevello; uomini che vilmente aggrediscono e malmenano una coppia di donne a Roma. Una minoranza retrograda avvelena la vita sociale instillando paura nei giovani LGBT, e diffidenza fra i molti cittadini che, pur avendo buonsenso e buona fede, sono naturalmente disorientati da una realtà che si sta finalmente liberando dalla cappa di pregiudizio e condanna che, in parte ancora adesso, influenza la considerazione che si ha di noi omosessuali e transgender.
C’è un contrasto stridente fra l’immagine stereotipata del mondo LGBT e tutti gli atti di istintivo amore e coraggio che hanno caratterizzato gli ultimi istanti di vita di molte delle giovani vittime della strage; testimonianze che stanno diffondendo storie di un altruismo così simile a quello che ha illuminato a sprazzi altre pagine buie della nostra storia recente. “Ti voglio bene” è fra gli ultimi messaggi che il trentenne Eddie Justice ha mandato alla madre, prima di essere ucciso nei bagni del Pulse; i proiettili hanno colpito alla schiena e al collo il trentaquattrenne Edward Sotomayor mentre questi, perdendo la vita, salvava quella del suo compagno facendogli scudo col proprio corpo; la madre Christine Leinonen, devastata dal dolore, ha deciso di seppellire il figlio Christopher di fianco al compagno Juan Guerrero, con cui conviveva, e che è morto con lui, così che le due famiglie unite possano abbracciare i loro figli, lasciandoli come essi avevano deciso di vivere.
Essere accettati dai propri cari, sperimentare la dedizione e l’altruismo, costruire vivendo le proprie relazioni legami forti e condivisi dalla famiglia: un unico modo di amare, al di là di distinguo ottusi che non solo rendono ad alcuni la vita più difficile, ma fanno perdere di vista a tutti il senso profondo di una vita vissuta pienamente. L’omofobia allontana dalle cose veramente importanti, dalla centralità delle proprie relazioni amorose e famigliari; abbruttisce chi la perpetra e danneggia chi ne è vittima. L’omofobia riduce a oggetto di indifferenza e dileggio chi è ferito da un crimine o da una tragedia, ma allo stesso tempo impedisce di provare compassione ed empatia, rendendo tutti un po’ meno umani.
Grandaqueer è nata anche per far sì che tutta la capacità di amare e realizzarsi di persone LGBT non venga sperperata ma sia libera di esprimersi appieno, ed è proprio per questa nostra libertà, che rivendichiamo, che sosteniamo con forza il bisogno di una legge contro l’omofobia; non solo per noi, ma perché l’intera società civile non svilisca se stessa perdendo di vista persone che vivono soffocate dietro agli stereotipi.
Il Comitato Territoriale Arcigay Cuneo
GrandaQueer lgbt*
&
A.ge.d.o. Cuneo

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